martedì 27 dicembre 2011

Quando fotografare è questione di fortuna


Quando fotografare è questione di fortuna

I consigli e i trucchi dei fotografi di National Geographic. 

di Jim Richardson
fotoconsigli
Fotografia di Jim Richardson

Il fotogiornalista Jim Richardson è celebre soprattutto per le sue immagini che ritraggono la vita quotidiana nelle piccole cittadine. Le sue foto appaiono molto spesso su National Geographic. (Fotografia per gentile concessione di Jim Richardson)






Nell'articolo sulla fotografia aerea ho parlato delle virtù della preparazione e dell'intuizione e, più in generale, dell'importanza di essere furbi ogniqualvolta se ne presenta l'occasione. Ne ho parlato come se fosse quello che faccio sempre.


Ora è il momento delle confessioni, e questa fotografia è perfetta per confessarsi. Mi trovavo in Scozia e stavo osservando due dei più grossi e buffi bovini che avessi mai visto attraverso il mirino della mia Nikon N90 (con obiettivo Nikkor 80-200 f/2.8). Stavo fotografando il paese del whisky per National Geographic Traveler, e mi trovavo nella cittadina di Dalwhinnie, nelle Highlands, patria dell'omonimo whisky. I bovini delle Highlands, chiamati coos dagli scozzesi, non sono un soggetto fotografico particolarmente stimolante, e neanche io mi sentivo molto a mio agio con loro. Semplicemente non sapevo dove puntare il mio obiettivo, così lo stavo puntando nella loro direzione.


Improvvisamente, è spuntato dal nulla questo ragazzo con la cresta e la giacca di pelle, e l'ho visto proprio nel mio mirino.
Non l'avevo affatto visto arrivare. Ho avuto a malapena il tempo di alzare la testa al di sopra della macchina fotografica per controllare se ciò che vedevo nel mirino era reale, quando il ragazzo ha tirato fuori un pezzo di pane e ha cominciato a dare da mangiare ai bestioni. Mi sono ripreso velocemente (ci provo quando la buona fortuna mi salva dalla mia incompetenza) e ho cominciato a scattare a ripetizione.


È stata solo fortuna!


E non bisogna mai voltare le spalle alla fortuna. Ringrazierò sempre gli dei della sorte per quell'istante che mi hanno concesso. E non scorderò mai la sensazione fantastica che si prova quando succede, quando il mondo ti offre un istante di splendida realtà, quando accadono eventi tanto improbabili quanto assolutamente "giusti".


Ecco, l'ho detto. Non me lo meritavo, ma mi è successo, e io ho accettato il regalo. Questa è la mia confessione.


Di tanto in tanto racconto la storia di questo scatto, ed è sempre un buon aneddoto, del tipo che noi fotografi amiamo ascoltare: questa fotografia è venuta fuori in seguito a un'incredibile combinazione di caso e karma, e la sua storia è anche molto divertente.


Questi aneddoti sono ottimi per raccontare delle belle storie, ma non fanno carriera per un fotografo. Quel giorno mi è andata bene. A parte quella fotografia, non ho concluso granché. Adoro i momenti di fortuna, ma mi spaventano anche. Essendo un fotografo che ama ritrarre la realtà, dipendo completamente dal mondo affinché mi conceda istanti da fotografare. E sono convinto che il mondo sia pieno di simili meraviglie. Quello che non so è se riuscirò sempre ad essere furbo abbastanza per cogliere l'attimo quando si presenta di fronte a me.


Quel giorno in Scozia, un'enorme freccia puntava verso quella scena e diceva: "È un'ottima fotografia, scemo! Scattala!". E così ho fatto.


È stata solo fortuna!
DAL SITO...

giovedì 22 dicembre 2011

I vincitori del grande concorso Nat Geo Usa

Oltre 20.000 foto da 130 diversi paesi. Il concorso internazionale di National Geographic si conferma uno dei più importanti del mondo. Tre le categorie premiate: Natura, Luoghi, Persone. Due italiani tra i primi
I vincitori del grande  concorso Nat Geo Usa



Vincitore assoluto e primo categoria Natura
Fotografia di Shikhei Goh

Gocce di pioggia sembrano bersagliare una libellula come schegge di luce nelle isole Riau in Indonesia, nella foto di Shikhei Goh, vincitrice del concorso internazionale National Geographic.

Un improvviso temporale ha imposto a Goh una difficile scelta: portare al riparo la sua fotocamera o sfruttare quella che lui ha definito una "luce superba".

Goh ha scelto di scattare la foto nonostante la pioggia e ne è venuta fuori "una macrofotografia che si è guadagnata il primo premio per la sua originalità, la meravigliosa luce  e un 'movimento' molto raro in questo tipo di fotografie, senza dimenticare la perfezione tecnica", ha detto Tim Laman, uno dei tre fotografi di National Geographic Magazineche ha fatto parte della giuria.

Un altro giudice, Amy Toensing ha aggiunto: " Puoi quasi sentire cosa prova la libellula di fronte alla sfida che le pone il clima. Quando l'ho vista mi veniva da dirle 'tieni duro, piccola'".

La difficile situazione dell'insetto ha affascinato anche il terzo giudice, Peter Essick, per il quale la fotografia rende la libellula un "personaggio con cui noi essere umani possiamo immedesimarci".

I vincitori del grande  concorso Nat Geo Usa

Vincitore categoria Luoghi
Fotografia di George Tapan

Un doppio arcobaleno sull'isola Onuk nelle Filippine dopo una tempesta.

(Vedi anche i primi arcobaleni tripli e quadrupli e la fotogalleria Arte di Natura sugli arcobaleni)

Il fotografo George Tapan "ha dato dimostrazione di grande tempismo e padronanza della composizione inserendo alla perfezione i due soggetti umani in questo scenario meraviglioso", dice Tim Laman.

Questa foto "molto suggestiva e con una meravigliosa composizione", ti fa 'sentire' questo luogo attraverso le nubi scure, gli arcobaleni i capelli della donna in movimento, dice Amy Toensing.

Peter Essick è stato affascinato dal dettaglio dei capelli della donna, "un piccolo dettaglio nella foto, che però coglie l'attimo del movimento dei capelli e dà prova dello stile e del senso dell'eleganza del fotografo."

Ma soprattutto, sottolinea Essick, la foto dimostra che "piccoli dettagli possono fare una grande differenza"





I vincitori del grande  concorso Nat Geo Usa

Vincitore categoria Persone
Fotografia di  Izabelle Nordfjell

Con un solo tiro un cacciatore di renne Sami assicura il cibo alla sua famiglia durante il lungo inverno svedese. 

(Vedi anche il reportage sul popolo Sami)


In questa immagine la fotografa Izabelle Nordfjell cattura un momento  che è al contempo "vero e misterioso," secondo la giurata Amy Toensing.

Peter Essick ha aggiunto che "nella cultura Sami questi momenti si ripetono diverse volte durante l'anno, ma non sono mai esattamente gli stessi”.

"Grazie alla grande attenzione nella composizione e all'ottimo tempismo, il fotografo ha reso questo incontro con un cacciatore Sami memorabile”.

I vincitori del grande  concorso Nat Geo Usa


Menzione d'onore, categoria Natura
Fotografia e didascalia di Kent Shiraishi

Lo "stagno blu" di Biei, in Giappone, è una nota attrazione turistica, molto frequentato dalla primavera all'autunno. D'inverno però appena l'acqua ghiaccia non ci viene più nessuno. Questa foto è stata scattata quando la prima neve di stagione sta cadendo sullo stagno.



ALTRO>>>>>>>>>>>>  http://www.nationalgeographic.it/fotografia/2011/12/20/foto/vincitori_foto_concorso_internazionale_national_geographic-750241/4/

domenica 18 dicembre 2011

Photo Ansa 2011: la storia di un anno raccontata attraverso le immagini che aiutano a ricordare


di SARA ALESI -
Un libro di foto per trasmettere temi ed emozioni. Ormai siamo abituati a ripercorrere le tappe più significative dell’anno attraverso questo testo che puntualmente ci aiuta a riflettere, ci fa ritornare alla mente drammi, successi e istanti della vita.
Sarà presentato oggi pomeriggio, alle 17.30, nella Sala Zuccari di Palazzo Giustiniani, il tradizionale bilancio fotografico e giornalistico dell’anno della più importante agenzia di stampa italiana.
La tavola rotonda: Il riscatto; l’Italia di fronte alla crisi, aiuterà a riflettere con Gianni Letta, Giuliano Amato, il Presidente dell’ANSA Giulio Anselmi, e il Direttore Luigi Contu.
Se l’ultimo scorcio dell’anno è stato dominato dalla crisi dell’Euro, il 2011 è stato denso di numerosi, altri avvenimenti che rimarranno nella memoria collettiva.
Filo conduttore del libro fotografico dell’ANSA, nell’anno del centocinquantesimo anniversario dell’Unità del Paese, è più che mai l’Italia.
Le pagine si aprono infatti con le immagini più significative delle celebrazioni il cui leitmotiv è stato il tricolore, un simbolo ormai entrato a fare parte della quotidianità degli italiani.
Gli altri capitoli del libro danno corpo ad una scelta giornalistica che, senza pretese di completezza, punta ad una sintesi visiva ma variegata dell’anno che si chiude. Sono infatti dedicati alla primavera araba, con le sue speranze e le sue tragedie avvenute anche sulle nostre coste; alla missione militare italiana in Afghanistan; alla nomina di Draghi al vertice della Banca centrale europea; alla Fiat e alla sua avventura americana, alle piazze romane invase dai pellegrini di tutto il mondo per la beatificazione di Papa Giovanni Paolo II.
L’Italia della cronaca e delle contraddizioni si specchia poi nelle foto più significative della assoluzione in appello di Amanda Knox, nelle immagini dei cumuli di rifiuti a Napoli , una emergenza ancora irrisolta, e nei progetti dei maxi-restauri del Colosseo e di Pompei.
Dal libro PHOTOANSA 2011 emerge un panorama ricco e complesso che ancora una volta i fotografi dell’Agenzia hanno cercato di rappresentare secondo lo stile dell’ANSA: rispettare la realtà senza forzature retoriche e senza eccessi di spettacolarizzazione. Uno stile che ha servito e serve tutta l’informazione italiana.
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SPACE SHUTTLE ENDEAVOUR
GERMANY ECB TRICHET
ITALY FENCING WORLD  CHAMPIONSHIPS

Fotografia e giornalismo oggi




La doppia pagina di apertura della cover story dedicata a Massimo Berruti suIL FOTOGRAFO 233.


Il lato giornalistico della fotografia è in crisi…. Lo sento ripetere dall’inizio degli anni Novanta. Il mercato si è contratto. La televisione prima, internet poi hanno eroso spazi sempre maggiori. L’informazione coniugata con l’intrattenimento ha ceduto sempre di più il passo a quest’ultimo, fin quasi a veder soccombere completamente la prima a favore del secondo. Dalla parte dei giornali, e di chi i giornali li fa, questo viene giustificato con l’esigenza commerciale di dare al pubblico quello che il pubblico vuole. Atteggiamento assolutamente pericoloso quando ci si trova di fronte a un pubblico che nel corso degli ultimi due o tre decenni è stato educato a quella superficialità e quel disimpegno che certo non favoriscono l’approfondimento implicito nel genere di fotografia di cui stiamo parlando. Personalmente trovo che tutto questo sia assai pericoloso, se non proprio dannoso a livello sociale soprattutto nel lungo periodo, in quanto contribuisce, e non poco, a generare un pubblico sempre meno cosciente e in grado di discriminare su quanto gli accade intorno. Comunque inutile piangerci sopra perché la situazione che piaccia o meno, è inequivocabilmente questa. Il vero problema per altro non è nemmeno quello della trasformazione della domanda del mercato, quanto piuttosto quello dell'incapacità di pensare un’alternativa da parte dei giornalisti che utilizzano la fotografia per raccontare il mondo. Lo specchio della situazione è stato a mio avviso offerto da quello che si può tranquillamente considerare il più importante Festival di fotografia giornalistica, che da quasi un quarto di secolo si tiene a Perpignan, ai confini tra Francia e Spagna. La rituale visita in occasione dell’edizione 2011 mi ha indotto uno stato di depressione abbastanza consistente, tanto da spingermi a considerare auspicabile quella fine, millantata un po’ da tutti i professionisti di settore da almeno una ventina di anni a questa parte e invece mai sopraggiunta in modo definitivo. Le indicazioni offerte da quanto ho potuto vedere a fine estate nella cittadina ai piedi dei Pirenei sono abbastanza sconcertanti. Si continuano a replicare schemi assodati, parlo di quelli narrativi, ma spesso perfino quelli compositivi riscontrabili all’interno delle singole immagini. Osservando un vasto panorama fotogiornalistico in un ambito spazio temporale ristretto è possibile rendersi conto di come tutti raccontando le stesse cose tendono a utilizzare gli stessi modelli di riferimento. Anche l’approccio alle possibilità offerte dalla tecnologia comunicativa contemporanea, da internet al multimediale, non fanno che aggiornare al supporto digitale tecniche di slideshow ben più che consolidate. Oltretutto con riferimenti discutibili nel momento in cui entrano in gioco competenze differenti da quelle richieste dalla produzione di immagini fisse. Tutti sintomi questi che non mi pare permettano di ben sperare e che, se uniti ai sintomi che provengono dal mercato e dal pubblico, mi hanno fatto pensare che forse sarebbe auspicabile una fine quanto più possibile veloce e rapida, senz’altro da preferire a qualsiasi lenta agonia. In altre parole, se questo è quello che hanno da offrire il reportage, il fotogiornalismo e il fotodocumentarismo, allora tanto vale chiudere bottega subito. Mi rendo conto oggi che sono state riflessioni dettate più che altro dalla delusione, dal rimpianto forse, conclusioni negative e istintive che probabilmente non attendevano altro che di essere smentite. 

La copertina de IL FOTOGRAFO 233
dedicata a Massimo Berruti.
Ma le smentite per fortuna a volte arrivano. E arrivano incontrando un fotografo che in barba alle tendenze generalizzate, non depone le armi, continua a cercare facendo dell’approfondimento e della professionalità il proprio pensiero e la propria azione. Un giornalista che dedica quasi quattro anni a un paese lontano per capire se le cose stanno come raccontano i media internazionali o se la realtà può essere differente. Parlo di Massimo Berruti di cui potete vedere una purtroppo limitata selezione di fotografie nel numero 233 de IL FOTOGRAFO. L’ho incontrato a Parigi qualche giorno fa (vedi post precedente) in occasione della mostra organizzata dalla Fondation Carmignac per celebrare il Premio Fotogiornalismo 2011 che Berruti ha vinto con il suo lavoro sulle milizie pashtun che lottano per mantenere il loro territorio libero dai Talibans. Ascoltando il suo racconto, il suo punto di vista, ma soprattutto le motivazioni che lo hanno spinto a recarsi dall’altra parte del mondo per ricercare la conoscenza di una realtà scoperta in prima persona e riportatarcela senza subire il condizionamento creato dai media internazionali. Un ragionamento e un sentimento che forse sono semplici in valore assoluto, ma che il tempo ci ha portato a perdere di vista, dimenticando quello che dovrebbe essere l’intento principale di ogni reporter e il motivo per cui questa professione è nata. Le parole di Berruti non nego che mi abbiano ridato speranza in un possibile futuro. Vuoi per la ancora giovane età di questo professionista, vuoi perché le motivazioni che lo spingono al lavorare e impegnarsi sono quelle che dovrebbero essere alla base di ogni operare giornalistico che non sia rivolto al mero intrattenimento compiacente del proprio pubblico. Se il fotogiornalismo e il fotodocumentarsimo hanno ancora un senso, al di là delle forme narrative ed espressive attraverso le quali si esprimono, bene allora quel senso può essere solo in una ricerca pura dei fatti, una ricerca che non sia condizionata dall’alleggerimento di tematiche poco gradite se pubblicate a fianco ad una pagina di pubblicità e/o condizionate dagli orientamenti della politica internazionale prevalente. Se il fotogiornalismo ha ancora un senso, l’unico che riesco a individuare rimane quello che giustifica l’esistenza stessa del giornalismo: la ricerca sincera e ininterrotta dell’origine e delle cause degli avvenimenti da offrire a chi non ha la possibilità di verificare di persona. Impariamo a preservare (o recuperare?) innanzitutto questo e poi potremo preccuparci anche di adeguare il linguaggio, che di sicuro ha bisogno di essere svecchiato.
Sandro Iovine
n. 233