giovedì 19 luglio 2012

Qual è l'alchimia della bella foto?


Essere in grado di ritagliare porzioni di spazio dalla realtà che ci circonda e fargli assumere una valenza che prima non sembrava esserci.

Provate a farci caso, quand'è che ci emoziona una foto? Quando la riconosciamo come un ritaglio della vita reale, mai visto prima. Quando nella nostra testa, nel giro di qualche istante, avviene una trasformazione, una sorta di sublimazione che estrapola ciò che stiamo osservando e lo proietta in un contesto ricco di emozioni, esperienze, sentimenti frutto del nostro bagaglio.

Per fare una similitudine, pensiamo alle barzellette, alle battute comiche. Ci fanno tanto più ridere, quanto più è ampia l'attesa del finale, la distanza tra la comprensione del normale e del potenziale equivoco, dello stupore che creerà in noi la battuta che dovremo riconoscere come vera o parzialmenta vera, ma vista in modo diverso.

Analogamente nelle immagini ci affascina una porzione di reale che non ci aspettavamo di vedere in quel modo. Avviene una sorta di 'riconoscimento' di un pezzo del reale, di elementi reali. Più l'immagine rappresenta un qualcosa che non avevamo ancora visto in quel modo, più ci meraviglia, ci incanta.

Quando una foto invece ci sembra banale? Quando rappresenta una cosuetudine, un qualcosa di abituale, un oggetto comune, visto e rivisto in quel modo, riconosciuto come normale nel nostro 'mondo' di vedere, un po' come una battuta scontata che non ci fa ridere perchè ce l'aspettavamo proprio così.

La bella fotografia è quindi un piccolo ritaglio di vita che in pochi istanti riconosciamo come rappresentante di un mondo che sta tanto fuori quanto dentro di noi, coinvolgendoci nei sentimenti.

La nostra mente non è mai ferma, interpreta, elabora, insomma fa la cosa per cui ha motivo di esistere: si mantiene in vita.

Ci avete mai fatto caso che nei primissimi istanti in cui guardate una foto, la mente è ferma? Per pochi istanti, ma lo è. E' ferma in uno stato di curiosa attesa... e aspetta. Cosa? La reazione.

L'occhio separa da una parte il mondo reale e dall'altra il mondo mentale, quel mondo fatto di miliardi di cellule vive che 24 ore su 24, da tanti anni quanti quelli che abbiamo, scambiano dati, controllano, memorizzano, elaborano.

Solo questo lavoro che sta dietro l'occhio dovrebbe bastare come sola meraviglia, ma la magia non si ferma qui. La nostra mente è in grado di reagire in modo emozionale alla semplice visione di una piccola immagine su un pezzo di carta o su un pezzo di vetro (monitor). Perchè?

Perchè riconosce e associa un qualcosa. Associa forme e colori a idee, ricordi, sogni, fantasie e questo inevitabilmente coinvolgerà i sentimenti dell'essere umano.

Non è necessario che la foto rappresenti un qualcosa di già visto, anzi. Come dicevo, il già visto rischia di apparire poco interessante e se poi si trova in un contesto comune o è un'oggetto quotidiano, c'è il rischio che sembri banale.

Non è la foto in se che la nostra mente riconosce, ma gli elementi. Bastano pochi elementi perchè si scateni il processo associativo.

Processo associativo

Guardiamo per pochi istanti una foto ed il processo inizia, parte l'elaborazione. Più associazioni si creeranno e più emozioni ne verranno fuori. Saranno queste emozioni a farci dire: che bella foto. Le emozioni risultanti potranno essere anche relative a sentimenti di tristezza, malinconia, ma un buon critico non deve giudicare tanto il tipo di emozione provata quanto il processo che ha portato a quell'emozione. Ci si può emozionare nel bello e nel brutto dei sentimenti umani, ma la bellezza della fotografia dovrebbe rimanere immune da classificazioni di questo tipo.

La bella foto è bella perchè il processo associativo porta ad un'emozione, quale che sia non ci deve influenzare, eventualmente influenzerà il nostro genere di foto che ci piace vedere o meno.

Il processo associativo dell'osservazione viaggia un po' come nel mondo dei sogni. E' infatti un'immaginare, sognare ad occhi aperti.

Come nel mondo dei sogni le immagini, i simboli, i ricordi, le esperienze si associano, creando una trama. E' un mondo da psicoanalisi che a noi interessa comprendere solo in minimi dettagli.

Difronte al processo associativo è facile capire come questo sia soggettivo, sia tutto appartenente all'osservatore. La fotografia sembra assumere le forme di uno specchio che riflette semplicemente le associazioni dell'osservatore.

E' un po' così in effetti. Non a tutti gli osservatori piace la medesima foto e non a tutti piace per gli stessi motivi.

Processo vivo

L'osservazione è un processo vivo a se stante. Coinvolge due persone: il fotografo e l'osservatore.

L'emozione di un determinato momento coinvolge il fotografo che scatta la foto. La foto origina il processo associativo che darà vita ad un'emozione nell'osservatore. Il cerchio si è chiuso come in una catena, ma il processo è vivo perchè le due emozioni non coincidono quasi mai. Non siamo difronte a qualcosa di meccanico o prevedibile.

Avrete fatto caso ai commenti di una stessa foto come frequentemente sono diversi. Chi ci vede una cosa e chi ne vede un'altra. Interpretazioni a volte distanti, a volte il fotografo da spiegazioni completamente diverse dai commenti.

Ecco il perchè di un processo vivo, cangiante. Un processo che si modifica anche nel tempo. Quante volte è capitato di giudicare un'immagine in un certo modo d'acchito e scoprirene poi altri aspetti a distanza di tempo, dopo una seconda o una terza visione. Questo rapporto vivo rende unico il piacere dell'immagine. Il fotografo sa di aver fatto una bella foto, ma non saprà mai come e in che intensità sarà recepito. Chi osserva una foto può apprezzarne o meno gli aspetti, ma non saprà mai con esattezza cosa ha visto l'autore.

A meno che ... non ci sia un commento che faccia da guida per entrambi gli 'attori'.

In questa fase è di importanza rilevante la propria esperienza di vita e la propria sensibilità. A volte capita che un'immagine non venga apprezzata perchè non capita dall'osservatore. Questa incomprensione può nascere fondamentalmente da tre motivazioni. La prima è che il fotografo può avere realizzato un'immagine talmente personale, talmente particolare, da non far scaturire un adeguato processo associativo nell'osservatore. La seconda è praticamente figlia della prima ma pone l'accento su chi osserva, quest'ultimo forse non ha acquisito, nella sua esperienza di vita, quegli elementi sufficienti alla giusta comprensione dell'immagine.

La terza riguarda un’osservatore ‘evoluto’, crsciuto ‘fotograficamente’ che non è più coinvolto da determinate immagini già viste, per le quali aveva provato piacere tempo prima, ma che ora non lo coinvolgono più perché in cerca di altro. Un ricercatore che non prova più emozione per sentieri già percorsi.

Punto comune

Comincia ad essere chiaro che la ‘bella foto’ necessita, sostanzialmente, di un punto comune tra il fotografo e l’osservatore (il critico).

Questo punto d’incontro dovrà accumunare certe situazioni culturali, certe esperienze emozionali e sicuramente anche certe esperienze tipiche della disciplina. In fotografia un bella foto può dipendere anche da determinate tecniche, ammirate, apprezzate da chi sa quanto siano difficili da realizzare.

Una foto è tanto ricca di elementi del mondo reale, quanto di molteplici aspetti tipici della psicoanalisi.

Per esempio possiamo dire che la foto di un tramonto piace a tutti perchè ha dei colori ‘caldi’, rappresenta serenità, quiete, pace, armonia… e via dicendo. Sentimenti che tutte le persone hanno. E’ difficile che un tramonto non emozioni la massa delle persone, non trovi nella maggior parte degli osservatori un consenso.

L’eventuale dissenso può arrivare da chi ha già goduto di certe immagini e ora le trova noiose.

Questo punto comune è ben studiato dai mass-media, dalla televisione, dai produttori. Serve per classificarci, per capire cosa ci piace e cosa venderci, cosa farci vedere. Tutto ciò che va sotto il nome di ‘commerciale’.

Quando pensiamo ad un film, una canzone, un liquore, un reality, un auto commerciale, a cosa pensiamo? Pensiamo a qualcosa che viene acquistato, visto, goduto, dal maggior numero di persone… quindi ciò che fa bussines. Siamo però tutti concordi che ciò che viene definito commerciale non è sempre il meglio della sua categoria o per lo meno non lo è sempre per noi.

Anche nella fotografia, concetti analoghi, possono trovare ragione.

Potremmo dire in altre parole che una foto è tanto più bella, quanto più soddisfa le attese dell’osservatore.

Questo concetto slega un po’ ‘la bella foto’ da un'idea di assoluto. Concetto in cui cadono molti, perdendo di vista che il primo bisogno del fotografo è appagare se stesso. Appagare gli altri è un passo successivo che nasce dal bisogno umano di confrontarsi per non vivere nella propria ‘nevrosi’, nella propria nicchia. Il confronto dona la possibilità di vedere se stessi attraverso gli occhi di un altro. Un processo mentale unico nel genere animale. Non so quanti di noi comprendono a fondo questo meccanismo di interscambio, vedere con gli occhi di un altro… non è incredibile? Purtroppo accade che sia molto più facile trincerarsi dietro i propri orgogli a difendere la propria nicchia che da tanta sicurezza, ‘la fuori il mondo è cattivo e ce l’ha con me’. Oppure ‘io son diventato così bravo che mi capisco da solo’

La foto può anche essere banale, inespressiva ma l’interscambio delle nostre opinioni, non può che aggiungervi valore. Finchè non ne discutiamo, non potremo sapere il motivo della nostra conclusione. Nel caso in cui fossimo certi di trovarci difronte ad una foto banale, sicuramente il fotografo ne è soddisfatto per quel che lo riguarda, ma certamente non sa perché noi la reputiamo banale. Questo vale anche per quegli autori, ricercatori che si esprimono con immagini di difficile assimilazione ‘commerciale’. Si esprimono senza spiegazione, evidenziando come la loro opera intellettuale sia rivolta solo a chi potrà capirla. Opinabile, ma giusto; ognuno è libero di fare ed agire come crede, l’importante è essere consapevoli che l’andare avanti non corrisponde sempre ad un avanzamento verticale.

Cercare, studiare, realizzare immagini sempre meno ‘commerciali’, immagini di un certo livello personale con il fine di aumentare la propria capacità di espressione, sensibilità, emozionalità è sicuramente positivo, il cammino dell'artista. Può diventare persino un nuovo genere di espressione, uno stile, un grande dono per tutti i fotografi.

Procedendo in questo modo la nostra capacità di ricezione del piacere fotografico ‘aumenta’. Aumenta la capacità di godere dell’immagine.

Una sana crescita deve nascere da un desiderio spontaneo e basata sul concetto di AUMENTO.

Non sempre però è così e a volte c’è una perdita. La perdita della capacità di apprezzare immagini più semplici che pur sempre rimangono immagini. Guadagnare una capacità e perderne un’altra è un TRASLARE, uno spostarsi, senza aumento. Si trasla a causa di un male comune: la noia. La noia ci spinge a cercare nuovi stimoli. Tipico pensiero: ‘oh ma che foto noiosa, le facevo 20 anni fa, ancora queste foto’. Questo ci spinge ad apprezare lavori di diversa, più matura esperienza. Se da un lato questo è ragionevolmente corretto, logico, giusto come appartenente ad un processo ‘evolutivo’, dall’altro lato non posso che osservarne anche l’aspetto negativo. Per me l’evoluzione è una crescita di tipo verticale, un aumento di valori aggiunti, ma se io aggiungo un valore da una parte (ricerca fotografica d’intelletto) ma dall’altra ne sottraggo un altro (incapacità di apprezzare foto semplici, comuni) non rimango più o meno con le stesso valore iniziale? E’ un po’ come se (… ed in psicoanalisi succede veramente) ci dicessimo: ‘i bambini non mi piacciono, non li sopporto perché ora sono adulto e io sono già stato bambino … ‘.

Non dobbiamo perdere la capacità empatica di immedesimarci, anche se questo dovesse corrispondere ad una regressione ‘apparente’. Nessun adulto potrebbe mai allevare un bambino se non avesse queste capacità. Senza empatia perdiamo ricchezza, perdiamo un pezzo di noi, subiamo una piccola mutilazione. Dalla noia si passa velocemente al vizio. Il vizio di vedere solo ed esclusivamente certe immagini, sempre più forti, sempre più sofisticate … si cade in un vortice che rischia di esaurirci. Tutto questo accade perché abbiamo deciso di traslare solo in una direzione proiettata in avanti. Finiremo per rincorrere il piacere come atto unico, anziché ampliare la capacità di godere di tutte le immagini. Riuscire a godere tanto dell’immagine più ‘intellettuale’, quanto del tramonto sul mare è ricchezza. Questo significa crescere in senso verticale, aumentare le possibilità di gustare le occasioni di piacere ricevuto da più immagini.

Libido

Il commento ad una foto è molto più importante di quanto apparentemente sembri. Può sembrare una perdita di tempo, una cosa inutile, ma equivarrebbe a dire che è inutile anche la macchina fotografica, ...allora perchè fotografare?

Perchè fotografiamo se non per il piacere? E' la ricerca del piacere a far muovere il fotografo, cerca il piacere dell'emozione, del sentimento e lo racchiude in una foto per tornare ad emozionarsi poi. Sotto questo aspetto è un'edonista, cerca il piacere, lo corteggia,lo immortala, lo accumula, non gli basta mai. Un ulteriore piacere lo si riceve quando il fotografo fa un'importante scoperta. Quando scopre che anche foto scattate da altri sono in grado di emozionarlo. Questa 'scoperta' amplifica il mondo del singolo, portandolo su livelli ben più ricchi perchè fa suo anche il mondo di altri. Come non intuire quanto l'osservazione di immagini scattate da altri, arricchisce il proprio piacere.

Questo si manifesterà con delle emozioni che diverranno poi dei ricordi nella nostra mente, aumentando il bagaglio delle nostre esperienze. Aumenterà la nostra capacità di apprezzare sempre più immagini prima incomprensibili e conseguentemente aumenteranno le nostre attitudini fotografiche nel saper cogliere i giusti elementi nel mondo che ci circonda.

Il commento è come l'anello di una fondamentale catena. Non è importante il commento scritto, la critica, il giudizio, è importante il nostro commento all'emozione. Guardare delle immagini e via è come guardare le vignette di un fumetto senza leggerne le didascalie. La storia risulterà incomprensibile. Guardare una foto pochi istanti e pensare 'si è bella' o 'no è brutta' non ci dice il perchè e non ce ne fa assimilare l'esperienza. E’ come se avessimo perso un attimo del nostro tempo.

Non comprendere i motivi di un'amozione è una comodità, comprenderli è invece una ricchezza.

La catena

In questa catena di processi, mi sono permesso di mettere in luce gli anelli fondamentali. Mi premeva evidenziare questi più importanti anche per me stesso che spesso me li dimentico o li perdo per strada.

A questo punto manca l'ultimo pezzetto della formula magica di quest'alchimia.

Manca di capire come fare a ritagliare quel rettangolo di mondo, quella fotografia in grado di darci il piacere attraverso l' emozione.

Come fare qualla foto che sarà in grado di emozionare anche altre persone attraverso il loro processo associativo? Immaginiamo una catena chiusa. Qual'è il primo anello? Trovato il primo si trova anche l'ultimo ... ma è vero anche il contrario, trovato l'ultimo troverò anche il primo.

Gli anelli della catena da considerare sono tanti: la tecnica, gli strumenti, le attrezzature, le possibilità economiche, le occasioni, i luoghi, le attitudini, la cultura, le esperienze, la maturità e via dicendo. Non so bene in che ordine doverli mettere, ma poco mi importa. Se conosco l'ultimo anello, conoscerò anche il primo.

Se io non so perchè una foto mi emoziona, ma accetto la semplice emozione perchè mi è comodo, se io non so perchè provo piacere nel guardare una foto, ma accetto il semplice piacere perchè mi è comodo... che foto potrò mai scattare se non delle immagini 'comode'? Le mie stesse critiche non potranno che essere ‘di comodo’. Non sarò mai ricco sotto questo aspetto ... Criticare le immagini di estranei è molto più semplice perché non c’è un personale coinvolgimento, ma se non so farlo, come potrò crescere nell’autocritica? Questo è l'ultimo anello, capire perchè ci si emoziona, capire questo affascinante mistero che porta un pezzo di carta ad emozionarci.

Questo non è certo un invito a lasciare commenti scritti alle fotografie di questo forum (sicuramente è un valido aiuto, un ottimo esercizio farlo), è sufficiente soffermarsi a leggere l'emozione dentro se stessi alla prima occasione che si presenterà, guardarla con lucidità. Capire quali elementi coinvolgono le nostre emozioni, capire come reagiamo a certi stimoli visivi, capire qual è la fonte del piacere.

Capito questo, avremo trovato gli elementi delle nostre belle foto, avremo capito come disporli, come inquadrarli. Pian piano assimileremo tanti segreti per crescere verticalmente, senza perdere pezzi per
strada.

Cos'è una fotografia? Cosa significa fotografare? Perchè fotografiamo?

Pubblicato da Chiara

Forse i matti vedono solo più cose di noi.





Cos'è una fotografia? Cosa significa fotografare? Perchè fotografiamo?




L'uomo è vita, l'uomo vuole vivere, e quindi conoscere, usando tutti i suoi sensi: il tatto, la vista, l'olfatto, il gusto, l'udito. A volte, però, si può essere al buio, si può essere distratti e non vedere, o si può avere il raffreddore e non sentire, si possono avere i tappi nelle orecchie e non ascoltare e ci si può far iniettare il cibo nel corpo senza più assaporare nulla; ma quando delle dita ci sfiorano, quando l'acqua bollente ci picchietta sulla schiena, quando camminiamo scalzi per sentire il mondo anche con i piedi, la comunicazione mondo-uomo è cosi immediata da rendere il tatto uno dei nostri sensi più forti. Nell'antichità, infatti, anche noti e valenti matematici pensavano che tutti gli altri sensi fossero riconducibili a quello del tatto e che dagli occhi uscissero dei raggi simili a dei bastoni che, come il bastone di legno di un cieco, scrutano il mondo intorno e comunicano alla psiche tutti i dati necessari per discernere il colore e la forma degli oggetti. L'uomo vuole conoscere. Ma come si fa a conoscere qualcuno o qualcosa? ecco che arriviamo al bisogno elementare dell'uomo:la comunicazione. L'uomo ha bisogno di comunicare, se proprio non vuole farlo con le persone, ha bisogno almeno di comunicare con la natura. Comunicare vuol dire appunto mettere in comune, e in italiano ha proprio il significato semantico di "far conoscere", quindi il "far conoscere" implica uno scambio, un dono. Uno dei doni più belli da dare e da ricevere sono le emozioni, e stesso la parola "emozione" deriva da "emotionem" da "emmovere" e quindi "muovere da", "trasportar fuori". E guarda caso, studi recenti affermano che le emozioni sono "contagiose", che quando le persone che ci stanno intorno mostrano gioia iniziamo a sorridere anche noi, se mostrano tristezza ci si incupisce e secondo un certo Hatfield "il contagio emotivo è la tendenza a imitare e a sincronizzarsi automaticamente con le espressioni facciali, vocali, posturali e gestuali di un‘altra persona e, quindi, a convergere emotivamente". Abbiamo così assodato che l'emozione è il dono migliore da fare per comunicare, e quindi per conoscere e per vivere.


La domanda iniziale del titolo è "cos'è una fotografia?", e quindi tutto questo sproloquio sembrerebbe inutile. Ma prima di cercare una risposta a questa domanda, cerchiamo di riflettere sulla terza domanda: "perchè fotografiamo?". Anche prima dell'esistenza della macchina fotografica si cercava di riprodurre la realtà quanto più fedelmente fosse possibile, impiegando, per la realizzazione di un quadro, anche degli anni. Con il tempo però l'uomo cerca di trovare mezzi sempre più efficaci e veloci, e così alcuni pittori, come Canaletto, hanno iniziato ad utilizzare camere oscure con lenti per la realizzazione dei propri quadri. Una camera oscura può essere composta da una semplice scatola chiusa con un piccolo foro su un lato che lascia entrare la luce.Questa luce proietta all'interno della scatola, sul lato opposto, l'immagine capovolta di quanto si trova avanti al foro. Più il foro è piccolo e più l'immagine risulta nitida e definita. Fin dall'antichità si conosceva il fenomeno della camera oscura, nei Problemata si afferma che "i raggi del sole che passano per un'apertura quadrata formano un'immagine circolare la cui grandezza aumenta con l'aumentare della distanza dal foro". Le prime camere oscure erano delle vere e proprie stanze, al cui interno pittori e scienziati lavoravano. Leonardo Da Vinci arrivò poi a proporre di mettere una lente, e passo dopo passo arriviamo alla macchina fotografica, in cui la luce resta impressa su di una pellicola, e alla fotocamera digitale, in cui questa luce viene conservata in una piccola "memoria".



Ma dunque, dicevamo, perchè fotografiamo? Fotografiamo per comunicare. Possiamo facilmente constatare che l'istinto di fotografare ci viene quando qualcosa si fa conoscere da noi, in particolare quando un emozione ci viene donata, e quindi cerchiamo di catturarla. Questo risponderebbe alla seconda domanda, fotografare vuol dire catturare quel dono che qualcuno o qualcosa ci fa. L'istinto di fotografare nasce però anche quando siamo noi a fare quel dono, a farci conoscere, a comunicare, in quel modo che noi chiamiamo "arte". Arte sembra derivare dalla radice ariana ar- che in sanscrito significa "andare verso" e in senso traslato "adattare, fare, produrre" e quindi "creare". In albanese, lingua che deriva dalla lingua dei pelasgi, quindi antichissima e primitiva, "art" è un sostantivo, che significa, produzione, e deriva dal verbo "ardhur" ossia "produrre, nascere pervenire". Quindi le nostre "opere d'arte", le nostre "creazioni", espressioni estetiche della propria interiorità, non sono altro che uno scambio di doni. Banalmente: guardiamo il mare, il mare ci emoziona (dono da parte della natura) e lo fotografiamo. Catturata l'emozione, possiamo tenerla per noi, o condividerla con gli altri(dono da parte nostra). Ho ulitizzato il termine "catturare". Prendendo in considerazione il tempo, lo scambio di doni avviene solo in un determinato istante, che è un qualcosa di finito che diventa passato. Una fotografia, come un quadro, come una statua, per il "creatore" sono portali che ci permettono di violare le leggi del tempo previste per l'uomo e di ritornare, con un'intensità sempre diversa, a quello scambio di doni non "catturato", ma "impresso", su quella pellicola particolare, la nostra anima. L' "osservatore", il "lettore" dell'opera, potrà solo "comunicare" con questa.






                                             numero 8: cielo stellato - da "Il postino" 

giovedì 12 luglio 2012

Aspetti legali in fotografia Cosa fare e cosa non fare quando si fotografa



Autore: Enzo Borri - Tratto da: Fotografia digitale 3.0 Reflex... e non solo - Edizioni FAG Milano






Non ci si deve spaventare se, scattando foto al parco o dinanzi un monumento, si incontra qualcuno che dice: “Non mi fotografi, rispetti la mia privacy!” Ci sono leggi ben precise che stabiliscono dove, chi e cosa si può o non si deve fotografare. Scopriamo come comportarci in questo articolo.




Foto a norma di legge

Ricordo spesso con piacere un aneddoto che mi raccontò un amico, bravissimo fotografo e grande collezionista di apparecchi Leica, circa una sua avventura fotografica. Si parlava di normative, liberatoria, autorizzazione alla pubblicazione delle immagini e mi disse: “Ero in giro come al solito a far foto con le mie solite due macchine e mi trovo di fronte uno che, dopo averlo ritratto mentre fotografavo un monumento, mi dice “Lei, mi dia il rullino; non mi può fotografare, non sa che c’è la privacy???” Non avevo voglia di fare tante storie; ho cominciato a sparare frasi in un finto russo inventato lì per lì così che questo ha creduto che fossi un turista straniero e m’ha lasciato in pace”.
Se si è così bravi da inventare frasi a metà tra una lingua incomprensibile e una “supercazzola” in perfetto stile “Amici miei”, allora ci si leva di torno chi, con l’arma dell’ignoranza, crede di potersi arrogare diritti inesistenti. Però è sempre bene sapere come, e dove si possono fare fotografie senza avere problemi e cosa, invece, va evitato. In estrema sintesi, se si fanno fotografie per uso amatoriale, quindi se non è prevista la pubblicazione, si può ritrarre chiunque. Sia questi un adulto o un bambino non occorre alcuna autorizzazione. Le cose cambiano quando si parla di pubblicazione dell’immagine. In questo caso, il termine “pubblicazione” include qualsiasi mezzo che renda pubblica l’immagine. Presentare una foto a una mostra o a un concorso fotografico equivale a pubblicarla, così come mostrarla su un sito internet o esporla in un negozio o in un bar.
Come comportarsi, quindi, nelle varie circostanze e quali sono le norme in merito?
Ritrarre una persona in pubblico

Nessuna norma vieta questa attività; è perfettamente lecito fotografare una persona in pubblico. Per la pubblicazione della foto, però, entrano in gioco gli art. 96 e 97 della legge 633/41 (e successive modifiche) sul diritto d’autore: il ritratto di una persona non può essere esposto, riprodotto o messo in commercio senza il consenso di questa, salvo i casi in cui la riproduzione di un’immagine è giustificata dalla notorietà o dall’ufficio pubblico coperto, da necessità di giustizia o di polizia, da scopi scientifici, didattici o culturali, o quando la riproduzione è collegata a fatti, avvenimenti, cerimonie di interesse pubblico o svoltisi in pubblico.
Va però specificata una cosa: pubblicare la foto di una persona in un luogo pubblico non è possibile se la persona costituisce il soggetto della foto. Infatti, si parla negli articoli citati, di “ritratto”. È quindi possibile pubblicare la foto solo se la sua presenza è incidentale e se non si tratta di un ritratto. In caso contrario, occorre un’autorizzazione. Diverso è il caso in cui la persona non sia visibile in volto. Si può pubblicare senza problemi se la persona non è riconoscibile.
In tutti i casi, se una foto comprende delle persone, e la medesima non rientra nel termine di “ritratto”, la foto può essere esposta o pubblicata se non reca pregiudizio al decoro o alla reputazione della persona (art. 10 Codice Civile).
In altre parole, se si fotografa il Colosseo e tra i turisti – che non sono di certo oggetto d’interesse della foto e che non influiscono nel contenuto dell’immagine – c’è una persona che si mette le dita nel naso… allora è meglio non pubblicare quella foto.
Pubblicare foto di minori

In questo caso, pur non sussistendo alcun divieto a ritrarre minori in pubblico, per la pubblicazione è sempre necessaria l’autorizzazione. Trattandosi di soggetto minore, quindi sottostante alla potestà dei genitori, saranno questi a dovere rilasciare l’autorizzazione. Il problema si pone quando il minore convive con un solo genitore, quando i genitori sono separati o divorziati e quando uno solo di questi rilascia l’autorizzazione ma non l’altro. Nella prima ipotesi, ai sensi dell’art. 317-bis Codice Civile, l’esercizio della podestà genitoriale spetta al genitore con il quale il figlio convive. Di conseguenza, sarà sufficiente la sua autorizzazione. Negli altri due casi, pur non configurandosi un caso di potestà genitoriale esclusiva (cfr. art. 316 e 317 Codice Civile), si ritiene sufficiente l’autorizzazione di un solo genitore, in considerazione del fatto che la stessa rientrerebbe tra gli atti di ordinaria amministrazione, i quali possono essere compiuti disgiuntamente da ciascun genitore (art. 320 Codice Civile).



Figura 1: per pubblicare la foto di un minore è necessaria l'autorizzazione dei genitori
La liberatoria

È il termine con cui si identifica il documento che autorizza il fotografo a pubblicare le immagini che ritraggono il soggetto che rilascia, appunto, l’autorizzazione.
È conveniente che vengano indicati in questo documento gli scopi per cui il soggetto rilascia autorizzazione. Per esempio, se si usa una foto per una mostra e si chiede autorizzazione al soggetto per questo tipo di uso, il soggetto fotografato potrebbe opporsi alla pubblicazione della sua immagine nel sito del fotografo.
È pertanto consigliabile indicare nella liberatoria una gamma di usi più ampi di quelli previsti nell’immediato.
I dati da indicare saranno innanzitutto le generalità del fotografo e del soggetto.
Si indicherà esplicitamente che il soggetto autorizza il fotografo alla pubblicazione delle sue immagini riprese in quel giorno e in quel luogo. L’autorizzazione comprenderà l’elenco degli usi concessi e, per rassicurare il soggetto, indicherà anche quelli che vengono assolutamente vietati. La forma potrebbe essere: “Autorizzo la pubblicazione delle immagini scattate nella data odierna per partecipare a mostre e concorsi fotografici, a corredo di articoli su riviste fotografiche, su libri di carattere fotografico, sul sito internet del fotografo e in altri tipi di pubblicazione a carattere artistico. Ne vieto comunque l’uso in qualsiasi modo e in qualsiasi forma che possa recare pregiudizio all’onore, alla reputazione e al decoro alla propria persona, ai sensi dell’art. 97 della Legge 633/41 e dell’art. 10 del Codice Civile”.
È anche buona norma indicare che nessun compenso è stato o verrà chiesto dal soggetto al fotografo o viceversa.
Come ottenere più facilmente la liberatoria
Se si ritrae qualcuno e si vuol chiedere la sua autorizzazione alla pubblicazione, lo si fa perché si ritiene che il soggetto, la sua espressione o il contesto abbiano un contenuto interessante e artistico. Allora perché non decantare la bellezza del soggetto o della sua espressività? Attenzione a farlo sempre con tatto e con misura. Esagerando si fa la figura di chi nutre qualche altro interesse oltre a quello fotografico. Ciò è da evitare soprattutto se si ritraggono bambini. Rischiare di essere presi per pedofili è più facile di quanto si immagini. Meglio, quindi, prima chiedere l’autorizzazione e poi ritrarre. Ciò può compromettere la naturalità del soggetto, ma è sempre meglio correre questo rischio che altri peggiori. Per convincere il soggetto, è poi possibile anche dirgli che gli si invierà copia delle foto (in digitale è anche gratis: non occorrono stampe ma basta un messaggio di posta elettronica).



Figura 2: questa foto è stata scattata presso il Castello Sforzesco di Milano durante una rappresentazione di antichi arti e mestieri nel novembre 2004. È il classico esempio di ritratto che non richiede la liberatoria.

Se le foto dovranno poi comparire su libri o riviste, è un gesto di cortesia inviare al soggetto o una copia della rivista o la pagina, in formato elettronico, del libro o della rivista su cui apparirà la sua foto. Indicandogli anche il nome della rivista o del libro egli potrà poi anche acquistarla, a meno che non sia possibile omaggiare il soggetto di una copia.
Usare il treppiede in luogo pubblico

Nessuna normativa nazionale lo impedisce. Ci sono però le norme locali che comprendono la “tassa di occupazione del suolo pubblico”. Con il treppiede, infatti, si impedisce ad altri di fruire del suolo pubblico occupato. Un agente non può invitare il fotografo ad andarsene sulla base di articoli di leggi nazionali. Può però farlo nel caso il fotografo non abbia ottenuto l’autorizzazione dall’ente locale competente. Certo, chiedendo negli uffici comunali l’autorizzazione a usare il treppiede in varie zone della città in cui fare foto, forse si verrà considerati dei puntigliosi ma almeno si sarà dalla parte della ragione. Se proprio non si ha alcuna autorizzazione e si vuole comunque fotografare, conviene rivolgersi a qualche agente lì in zona e chiedere gentilmente se si possono fare un paio di foto usando il treppiede. La gentilezza apre più porte di tante autorizzazioni.



Figura 3: Piazza del Duomo, a Milano è una zona chiusa al traffico. Questo gruppo di motociclisti desiderava una foto con il Duomo sullo sfondo. È stato sufficiente chiedere con gentilezza il permesso agli agenti presenti per poter avere un ricordo di un piacevole incontro
Fotografie pornografiche o oscene

Diverse persone amano fare fotografie pornografiche ritraendosi in atti o pose che di artistico hanno veramente ben poco. Il digitale ha scatenato una moltitudine di persone che mai si sarebbero azzardate a scattare immagini di quel genere ai tempi della fotografia tradizionale poiché, sicuramente, sarebbero state viste da altre persone, a partire dal fotografo incaricato dello sviluppo e della stampa.
Oggi col digitale ci sono più foto pornografiche sui computer che sulle riviste “del settore”. Se queste diventano pubbliche, per esempio perché le si scambia tramite i programmi di peer-to-peer, si incorre in quanto previsto dall’art. 528 del Codice Penale in tema di pubblicazioni e spettacoli osceni. Recita l’articolo: “Chiunque, allo scopo di farne commercio o distribuzione ovvero di esporli pubblicamente, fabbrica, introduce nel territorio dello Stato, acquista, detiene, esporta, ovvero mette in circolazione scritti, disegni, immagini od altri atti osceni di qualsiasi specie, è punito con la reclusione da tre mesi a tre anni e con la multa non inferiore a € 103”.
Riprendere dall’aereo

La legge lo consente. Con il D.P.R. 367 del 29 settembre 2000 è stato, infatti, sancito che “l’effettuazione di rilevamenti e riprese aeree sul territorio nazionale e sulle acque territoriali è consentita senza preventivi atti di assenso da parte di autorità o enti pubblici”. Questo, ferme restando le disposizioni in materia di servizi di trasporto aereo non di linea e di lavoro aereo contenute negli art. 788, 789 e 790 del Codice della Navigazione il cui testo è disponibile sul sito dell’ENAC (Ente nazionale dell’Aviazione Civile) http://www.enac-italia.it.
Recita inoltre l’art. 3 del suddetto D.P.R: “È fatta salva l’applicazione delle vigenti disposizioni in materia di trattamento dei dati personali relativamente ai dati raccolti nell’esercizio delle attività disciplinate dal regolamento”.
Se questa è la norma, occorre ricordare che potrebbe essere vietato l’uso di apparecchi digitali durante il volo per il timore – non si sa quanto fondato – di possibili interferenze di tipo elettromagnetico.
Dove e cosa non si deve fotografare

In Italia è vietato fotografare installazioni militari, i militari stessi e i loro armamenti. Questo in base al Regio Decreto 11 luglio 1941, n. 1161 che vieta la divulgazione di notizie che possano essere d’aiuto al nemico.
Considerato il momento in cui il Regio Decreto in questione è stato promulgato, l’importanza di queste informazioni ai fini bellici è scontata. Ma il decreto vieta altresì la divulgazione di notizie – quindi anche di fotografie – riguardanti impianti civili di produzione di armamenti, impianti di produzione di energia, impianti ferroviari incluse le stazioni e i convogli ferroviari.
Circa quest’ultimo divieto, esiste anche una circolare delle Ferrovie dello Stato del 15 giugno del 1990 che indica che per le riprese è necessaria un’autorizzazione rilasciata dal Direttore Centrale delle relazioni esterne. All’art. 1.1.2 recita però: “Non sono soggette alla suddetta preventiva autorizzazione le riprese che siano effettuate in ambito FS normalmente accessibile al pubblico, nel rispetto di tutte le seguenti prescrizioni: a) con apparecchiature utilizzate a mano; b) senza creare intralcio all’esercizio ferroviario; c) senza impegnare personale, mezzi e materiali dell’Ente”.
Conclusioni

In questo articolo abbiamo esaminato gli aspetti legali della fotografia, cose utili da sapere nell'esercizio del fotografo, per evitare di incorrere in guai non previsti.

venerdì 6 luglio 2012

Come fotografare… il movimento dell’acqua

BY LUIGI CALABRESE – 
POSTED IN: COME FOTOGRAFARE...


Uno degli effetti più apprezzati e gradevoli, nella fotografia di paesaggio, è senz’altro quello dell’acqua di un fiume, di una fontana o del mare, che assume, per via del movimento, il cosiddetto “effetto seta”.


Tempo di esposizione 1 secondo, diaframma f/13



Come si possono ottenere foto come queste? Il seguente tutorial lo spiegherà.


Tempo di esposizione 4 secondi, diaframma f/9

Innanazitutto bisogna dire che ottenere l’effetto movimento dell’acqua è tutt’altro che difficile. Il segreto è uno soltanto: utilizzare un tempo di esposizione lungo. Se leggete la didascalia delle immagini sopra riportate vedrete infatti che sono state scattate rispettivamente con tempi di uno e quattro secondi.

Per visualizzare concretamente come cambia l’effetto dell’acqua in una foto al variare del tempo di esposizione si osservino attentamente le foto di esempio sotto riportate, scattate al medesimo soggetto, prestando attenzione ai diversi tempi di esposizione usati.


Tempo di esposizione: 1/640 di secondo


Tempo di esposizione: 1/200 sec.


Tempo di esposizione: 1/100 sec.


Tempo di esposizione: 1/50 sec.


Tempo di esposizione: 1/13 sec.


Tempo di esposizione: 1/3 sec.


Tempo di esposizione: 1,3 sec.

Le fotografie sopra riportate sono solamente indicative. L’effetto che il tempo di esposizione scelto produce sull’acqua dipende infatti dalla velocità di movimento di quest’ultima. Spesso quindi non si può far altro che provare tempi di esposizione diversi, fino al raggiungimento del risultato desiderato. Per fortuna al giorno d’oggi, con il digitale, provare e riprovare è facile ed economico, dato che si può visualizzare immediatamente il risultato sul monitor e che gli scatti che non vanno bene possono essere semplicemente eliminati.

Ma come procedere?

Ecco la ricetta. Occorrono:
una fotocamera che permette di operare in modalità manuale;
un robusto treppiede (l’acqua deve uscire mossa in fotografia: tutto il resto deve apparire ben fermo e nitido);
un cavetto di scatto a distanza, o un telecomando, per non incorrere nel micromosso a causa della pressione diretta del pulsante di scatto. In alternativa di può usare le funzione “scatto con ritardo di due secondi”, presente sulla maggior parte delle fotocamere.




Il filtro grigio, utile per "assorbire" la luce, qualora ve ne sia troppa
In caso di luce molto forte che non permetta di ottenere tempi abbastanza lunghi, può essere utile un filtro grigio ND. L’ND è un filtro che si monta davanti all’obiettivo e che, essendo grigio, non introduce dominanti di colore, limitandosi ad “assorbire” un po’ di luce. In tal modo si potranno ottenere tempi di esposizione più lunghi.

Dopo aver posizionato la fotocamera sul treppiede e aver scelto l’inquadratura si chiude il diaframma al valore necessario per ottenere il tempo di esposizione desiderato. Di solito si dovrà operare con diaframmi piuttosto chiusi, che consentano tempi di esposizione compresi tra 1/10 sec. e qualche secondo, necessari per ottenere l’effetto movimento dell’acqua.

Non è possibile dare delle regole generali sui tempi di scatto da utilizzare, perché ogni situazione è diversa per luminosità della scena, velocità dell’acqua, effetto desiderato, ecc…

Conviene lavorare di primo mattino o al tramonto, quando la luce è meno intensa e si possono utilizzare tempi più lunghi anche senza ricorrere agli ND.

Non resta quindi che trovare un ruscelletto, una cascata o una fontana, oppure andare in riva al mare, e provare…