Per la Johnson: “Abbiamo la responsabilità di essere sia educatori che giornalisti, il nostro compito consiste nel non manipolare le persone, ma onorare le loro storie per condividere una visione della vita. Dobbiamo aiutare le persone a guardare le cose che non potrebbero o non vogliono vedere”.

Poche persone sono in grado di indagare e mostrare la vita con la stessa intimità emotiva di quest’artista. Ogni sua fotografia, costituisce un percorso che invita lo spettatore a guardare e vedere al di là del frammento fotografico, nel tentativo di fornire una chiave di lettura che vada oltre la foto stessa. La fotografia a cui Lynn aspira deve innanzitutto scuotere il sentimento, nel desiderio di oltrepassare l’immagine, deve vivere e sopravvivere al suo fautore così come accade per tutti i contenuti artistici.

Con la sua Leica ha lavorato in situazioni di emergenza, ha vissuto un’ infinità di esperienze sensazionali, trascorrendo lungo tempo con i pescatori del Long Island , arrampicandosi sulla cima dell’antenna radio Chicago’s Hancock Tower, penzolando da un aereo in Antartide e mangiato ratti con i guerriglieri del Vietcong. Inoltre la fotoreporter ha viaggiato dall’ Antartico al Tibet e ha catturato il volto e lo spirito di molti personaggi famosi tra cui: Barishnikov, Stevie Wonder, Michael Douglas, Gloria Estefan, Mr. Rogers, e l’intero corpo della Corte Suprema degli Stati Uniti, ma la sua passione era e resta documentare la vita nelle sue sfaccettature quotidiane.



Curiosando nella biblioteca del liceo che frequentava, una Lynn Johnson giovanissima, si imbatté per caso in un volume di immagini di Dorothea Lange e altri fotografi che avevano documentato la Grande Depressione per conto dell’FSA (Farm Security Administration), l’organismo federale nato per combattere la crisi nelle campagne. Quella scoperta fortuita cambiò la sua vita. Lynn rimase sconvolta dalla visione della potenza delle immagini, dal senso di dolore e perdita che emanavano, da quel momento ha iniziato ad appassionarsi alla fotografia.



“Mi innamorai subito del potere di quelle fotografie”, ricorda la Johnson. “Ero molto giovane ed ero cresciuta nella bambagia. Non avevo mai visto lavoratori migranti o mezzadri, né avevo mai provato il senso di perdita o il dolore che pervadevano quelle immagini. Non avevo mai provato un’emozione così intensa e sentii il desiderio di prendere in mano una macchina fotografica”.

Lynn cominciò ad esplorare l’arte della fotografia, scattando ritratti per l’annuario scolastico del liceo. Ricorda di quegli anni:

“Se sei timido, la fotocamera ti apre le porte della vita. Era come uno scudo dietro il quale potevo nascondere la mia timidezza e mi permetteva di diventare un’osservatrice attiva”.



Diplomatasi, la fotografa, scelse di laurearsi in lettere e fotogiornalismo al Rochester Institute of Technology e dopo aver conseguito la laurea nel 1975 , venne assunta alla Pittsburgh Press. Llynn fu la prima donna in questo staff di reporter, tra i suoi colleghi la Johnson emerge come la nuova promessa del fotogiornalismo, a proposito di questa esperienza dice la Johnson:

“Il lavoro in Press ha confermato la mia fede nella fotografia come un importante voce dentro di me, i ragazzi furono grandi e dei validissimi maestri, ma nel contempo erano anche abbastanza perplessi perché io sono una donna. Dovetti dar prova ai miei colleghi del mio lavoro. Non che mi aspettassi nulla al mio arrivo, tantomeno di essere guidata da loro su come fare il mio lavoro, volevo cercare io stessa la mia via e ben presto la trovai. Alla prima occasione afferrai la macchinetta e me ne andai senza chiedere nulla a nessuno, tornando solo molto tempo dopo non appena avevo svolto il mio servizio”.



Nei sette anni alla Pittsburgh Press, la Johnson convinse l’editore del giornale Sunday a vedere esempi delle sue foto e del suo stile, perché, nonostante questa grande opportunità professionale: “ mi sentivo frustrata, dice la Johnson, per la rapidità di arrivo e di uscita delle notizie. Capivo che molte delle storie necessitavano più attenzione, nel modo in cui venivano trattate, perdevano il senso della loro importanza”.

Fu così che nella sua carriera la fotografa si trovò ad attraversare un punto di crisi personale e professionale, realizzava importanti lavori che però non comparivano sulle pagine. Ricorda la fotografa: “ Mi chiesi, così funziona il business? Forse sono io ad essere carente in qualcosa?”







Fu così che La Johnson decise di tornare a scuola, per capire innanzitutto cosa la turbava nel suo lavoro. In questo ambiente, insegnando, ritrovò gli stimoli di cui aveva bisogno dai suoi allievi. ” Loro mi hanno incoraggiato a trovare la mia motivazione, estetica, etica, personale di vita e identità. Sentimenti presenti e nascosti in un posto dentro di me. Devo molto a questi studenti, hanno trasformato la mia vita con questa esperienza”.

Inoltre sentiva l’esigenza e la volontà di aiutare i nuovi talenti le nuove generazioni ad emergere. Ognuno ha una propria visione del mondo, il lavoro che Lynn si prefigge, è invitare a trovare il proprio punto di vista che da significato all’immagine, che ognuno ha. Il fotografo dietro la telecamera dal canto suo deve diventare invisibili, come se ci fosse unicamente la telecamera ad interagire con l’inconscio delle persone. Per la Johnson:

” Noi abbiamo la responsabilità di essere entrambi: educatori e giornalisti, senza manipolare le persone, ma rendere onore alle loro storie, dargli dignità che hanno, contribuire a mostrare un punto di vista che forse può arrivare a fare e mostrare anche la differenza rispetto agli altri.”



Un lavoro curato fino al minimo dettaglio quello di questa artista, la sua dedizione e sensibilità, si manifestano perfettamente nelle sue fotografie, con un procedimento, una sperimentazione, che pone le basi in profondità, realizzando un tipo di fotografia intimistica. Sostiene la fotografa: “Nell’ordine in cui catturiamo un istante noi possiamo vedervi, sentirvi del sentimento, solo se la fotografia fa parte della comunità, non solo dal punto di vista intellettuale ma anche emozionale”.

Un interazione esistente e costante con la vita in tutte le sue sfaccettature, dalle miserie familiari, alla sofferenza causata dalle dipendenze, ad esempio dall’ AIDS ( documentata per Life), e molti altri momenti della vita umana visibili in alcune testate come Sports illustrated, Newsweek, the New York Time Magazine e Smithsonian con cui la fotografa ha lavorato. Quando nel 1982 lasciò la Pittsburgh Press, fu invitata a partecipare ad un progetto per la documentazione dei pescatori del Long Island, progetto chiamato: Men’s Lives.” Questo – spiega Lynn- era un vero progetto documentaristico. Fu Adelaide de Merlin la donna che supportò il progetto e mi disse: “ Vai e raccogli le immagini, mostra le condizioni orrende in cui questi uomini vivono. Lavorai molto tempo su questo progetto. E fu questa esperienza a prepararmi per un tipo di lavoro che io avrei voluto fare da questo momento in poi”. Cominciò poi a lavorare per Life e divenne l’assistente di Yoichi Okamoto, ex fotografo della Casa Bianca.



“ L’enfasi nel far questo tipo di fotografia è nella possibilità di costruire relazioni di qualità nel rispetto della privacy, è quello che io chiamo trenta tazze di caffè per realizzare una sola foto. Bisogna entrare nella comunità, non basta fotografarla. Ho iniziato a comprendere la potenza educativa e conoscitiva che si trasmette attraverso la fotografia al di la di ogni tempo e luogo, perché la fotografia aiuta le persone a guardare cose che loro mai sarebbero davvero stati capaci di vedere, o che non volevano vedere negandole a se stessi. Quando tu puoi guardare, avere percezione vera e diretta di una cosa allora hai la possibilità di cambiarla. Prima tu puoi vederlo e prima tu puoi cambiarlo e averne coscienza della realtà e del cambiamento”.

Il primo libro pubblicato della Johnson è il “Pittsburgh Moments” (University of Pittsburgh Press, 1984). Nel 2000, Johnson ha portato a termine, in qualità di Knight Fellow, la tesi del suo Master alla School of Visual Communications della Ohio University. La tesi è diventata un libro e una mostra itinerante sull’impatto che nasce dalla visione della violenza dei crimini del mondo, di qualsiasi genere e crudeltà, basati sul pregiudizio razziale, sessuale, religioso o sociale.



“Quasi tutte le persone che commettono crimini credo, sono profondamente convinte di essere nel giusto. La chiesa e la società li condonerà indicandogli una via. Le tensioni diffuse e i contrasti, sono una componente costruttiva di un progetto”.



I suoi scatti hanno ricevuto nel corso del tempo, numerosi riconoscimenti nella sua carriera premi tra cui: sette Golden Quills per il Fotogiornalismo, Quattro premi World Press Photography Awards, il premio Robert F.Kennedy Journalism premio per Outstanding Coverage of the Disadvantaged, e il premio per le immagini dell’anno per il National Press Photographer Association e il riconoscimento per University of Missouri School of Journalism. Inoltre, lei ha vinto il premio eccellenza in alcune associazioni come Xerox, USX, the Ford Foundation, British Petroleum, Alcoa Foundation, Westinghousee la Pittsburgh Foundation.. Nel 1989, ha pubblicato la sua prima foto su National Geographic, in un servizio sui grattacieli, e da allora lavora regolarmente per la rivista. La Johnson nel produrre il suo lavoro si è sempre chiesta: Come trattare il materiale, quale impatto sociale può avere? ”

C’è una continua discussione professionale riguardo il ruolo del fotogiornalismo, che prende vigore dinnanzi a situazioni ed eventi simili : Le situazioni aiutano a scendere in campo e registrare l’evento o stare in panchina?



” Io ho raggiunto un punto della mia vita dove non è abbastanza restare a guardare, la disseminazione di informazioni è un compito da sostenere. Questo trasforma una fotografia tradizionale in fotografia documentale. Allo stesso tempo però, entrare in relazione con una comunità, con altri individui e le loro vite crea una scossa che genera paura, non parlo di quando la situazione può essere fisicamente pericolosa ma emotivamente carica. Io cerco di essere cauta per non creare un impatto emotivo troppo forte, bisogna essere consci della situazione, utilizzare sensibilità davanti al dolore di qualcuno e consapevoli di quale dono ti stanno facendo con il loro racconto, la loro presenza lì.”

Così definisce la Johnson il suo lavoro e cosa rappresenta per lei fotografare: “ Per me fotografare è una missione . Io non parlo su una vasta scala di valori , ma nel senso che nella coscienza quotidiana di ognuno di noi è responsabile per la comunità intera, il senso di se e il senso della responsabilità fuori di se stessi è così ampio che si compenetrano. Questa è la motivazione per provare ad adempiere che le responsabilità costituiscono un lavoro su pensieri cose e questioni.”